mercoledì 13 ottobre 2021

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Ascolto Pedagogico e Ospedalizzazione


 

L’ascolto (Psico) Pedagogico nell’esperienza dell’ospedalizzazione

Un percorso di esperienza vissuta, di riflessione e una proposta di Formazione

 

Alessandro Castelli*  

     Articolo già pubblicato**

 

Per Interventi Pedagogici in Contesti Clinici e Socio Sanitari-Professione Pedagogista

 

L’esperienza dell’ospedalizzazione è un trauma.

 

      Spesso ci si trova su di un letto d’ospedale da un giorno all’altro, senza neanche avere il tempo di razionalizzare quanto sta accadendo…Sia per casi d’incidente che per malattia grave, pervenuti improvvisamente o quasi…Quindi ad esordio veloce. E come reagisce il paziente e i suoi familiari? Come si comporta il personale medico e infermieristico?

Nei casi più fortunati un neo paziente che ha una famiglia accogliente e calorosa, nonostante il trauma comune, ha prima di tutto il conforto dei propri cari…Ma non è sempre così, sia perché i propri familiari vivono lontani, sia perché si vive da soli e solo nei migliori casi ci sono Amici a cui potersi rivolgere, per l’immediatezza della situazione .

     Ho vissuto 6 mesi all’interno dell’Ospedale A. Gemelli di Roma, reparto Ematologia (inizialmente una settimana all’Ospedale Belcolle di Viterbo nella prima fase critica), per avermi diagnosticato una forma acuta di leucemia, nel mese di novembre 2008. Il primo mese, completamente allettato a seguito della terapia d’urgenza alla quale sono stato sottoposto a Viterbo, che mi ha salvato la vita.

Da gennaio fino ad aprile ho fatto avanti e indietro tra brevi periodi a casa e più lunghi in ospedale, per i previsti cicli di chemioterapia  e mantenimento medico alternati, previsti.

      I medici che mi hanno curando e mi stanno seguendo ancora, sono professionalità davvero preparate e li ringrazierò sempre ma in questo periodo di ospedalizzazione cosa succede al paziente? Come affronta l’emozione? Il medico e il personale infermieristico tutto come reagisce?

il lavoro è prettamente “tecnico”,  anche se naturalmente c’è anche l’elemento della umanizzazione dell’intervento clinico e sanitario, ma spesso succede che l’aspettopsicologico è completamente secondario, per cui questa necessità deve essere demandata, solo quando è prevista, a figure specializzate. Per il paziente, l’aspetto dell’emotività e delle difficoltà di relazione in un nuovo ambiente, l’impatto con la patologia e tutto ciò che ne consegue è un trauma e spesso i medici devono occuparsi “solo” della parte strettamente clinica, tralasciando la questione emotiva del paziente, che spesso deve solo seguire le prescrizioni mediche…Ma la malattia determina una condizione di profonda crisi in quanto interrompe l’abituale ritmo di vita e l’individuo è talmente vulnerabile che non tutti si è in grado di affrontare nel modo migliore ed equilibrato, questo periodo difficile.

      Inoltre, la formazione medica è sempre stata improntata solo ed esclusivamente al fattore clinico..e solo in minima parte psicologica, molto generale e prettamente sempre e solo medica.

      Ci sono poi medici che per loro formazione e cultura umana riescono a stare più accanto al paziente, offrendogli conforto e accoglienza, ma poi, le varie incombenze della patologia da seguire non gli permettono di aumentare la qualità e il tempo dell’accoglienza stessa, a discapito di altro tempo del medico stesso.

Solo nei casi di tumori è previsto un sistema di assistenza psicologica nei reparti, soprattutto in situazione di minore età, (Oncologia) mentre ad esempio non è previsto alcun intervento simile nei reparti di Ematologia, dove comunque si affrontano casi di patologie tumorali gravi e importanti, come leucemie e linfomi…Non a caso molti degli addetti ai lavori, chiamano Ematologia, “il Reparto”…

      Quanto detto finora, fa parte di una prima “riflessione pedagogica” riguardante un vissuto personale ma comune di tante altre persone che l’esperienza dell’ospedalizzazione, cura e terapie sono sempre causa di un disagio psicologico e a volte anche psichico.

Pertanto sono necessari strumenti ancor più utili e propositivi alla ricerca del Ben-Essere psico-fisico dell’Individuo, soprattutto in contesti clinici e Socio-Sanitari.  

      Lo spunto per questa “Riflessione Pedagogica” nasce poi, oltre dal profondo vissuto personale, anche dall’aver letto il Dossier a cura di Giuseppe Rulli e Maria Angela Grassi, riguardante l’E.T. (l’Educazione Terapeutica) del Dr. Francesco Mammì e del Dr. Claudio Doliana, su “Come educare bambini e bambine, ragazzi e ragazze con diabete”, (Professione Pedagogista, N.32, Maggio 2009).

 A mio avviso ci sono diversi aspetti comuni rispetto alla presente riflessione che proponiamo: “La professione di pedagogista è peculiare e fondamentale rispetto ai bisogni e alle necessità dell’Uomo, nella sua crescita e formazione, soprattutto perché lavoriamo in contesti spesso problematici, alla ricerca di risoluzioni utili alla vita di ogni essere umano”…Per cui “educare il paziente a gestire la cura della propria malattia” come dice appunto il Dr. Mammì e poi “l’esercizio di attività curative formali”…che “riflette  anche un inconfessato bisogno di cura di sé…” (per quanto riguarda i medici), ci sembrano ulteriori riflessioni davvero importanti.

“L’ approccio al cliente” poi e a tutto ciò che ne consegue, appare in questo ambito Cinico e Socio-Sanitario evidentemente utile, nell’insieme di un ripensamento profondo, culturale e propositivo in chiave Pedagogica .

      Come Pedagogisti abbiamo l’opportunità  incredibile di ampliare la possibilità di creare Ben-Essere, così come l’esempio “educare bambini e bambine, ragazzi e ragazze con diabete” , nei casi  dei reparti di Ematologia accennato sopra, non c’è nessuna preparazione psicologica e  assistenza pedagogica, al fine di creare Interrelazione tra paziente, personale medico, infermieristico, ausiliario e familiare.

      Gli operatori ospedalieri sono troppo presi dalle loro problematiche quotidiane e spesso anche dai bilanci delle aziende, per cui l’unico strumento “umanizzante” ed “educativo” attuale è quello della buona volontà dei singoli operatori (oltre ovviamente alla loro preparazione professionale che però abbiamo detto, è prettamente medica). Troppo spesso abbiamo visto l’affannarsi di dottori e infermieri su ogni singolo paziente, dopo ogni visita mattutina, alle prese con le diverse patologie e dietro alle varie cartelle cliniche da sfogliare, con poche possibilità di un chiarimento un po’ più tranquillo tra paziente e medico stesso…Poche informazioni concise per il decorso della malattia, (a volte neanche quelle, perché sembra che le informazioni maggiori sono “riservate” agli addetti ai lavori) e quasi nulla più.

Poi il paziente stesso deve “rincorrere” il proprio medico per ulteriori delucidazioni, rispetto all’andamento della terapia, perché nella realtà delle cose, nella cultura medica e nell’impossibilità di avere tempi più consoni al dialogo, “poche parole e più fatti”, sembra sia questa la “legge “ da seguire…!

     “Purtroppo la filosofia della medicina non è certo un tema centrale nelle facoltà di medicina europee(…), per la maggior parte, gli studenti accettano il modo in cui la medicina è praticata usualmente senza mettere in discussione gli assunti sui quali questa pratica è fondata(…) che le malattie sono entità che attaccano il paziente dall’esterno (…)” come afferma Wulff-Andur Pedersen-Rosenberg, 1992, pp.1-2, sul Dossier citato Rulli-Grassi, Professione Pedagogista N.32 in Claudio Doliana.

     Per cui, crediamo che proprio perché Pedagogisti, c’è la necessità di un appropriato utilizzo della parola anche di tipo strettamente relazionale, a maggior valore proprio perché lo affrontiamo in un contesto Clinico e Socio-Sanitario.

 “L’esercizio della parola è curarsi del mondo e il pedagogista non dovrebbe mai dimenticare che la sua identità è quella dell’in-segnante in senso intimo, etimologico: non uno che insegna questa o quella materia ma colui che sa segnare dentro, in quanto a sua volta segnato da un incontro che gli ha segnato la vita” (Claudio Doliana, Professione Pedagogista N.32).

Il concetto appena ribadito, “segnare gli altri perché segnati noi stessi….” è di fondamentale importanza: “Il Pedagogista è l’esperto dei processi educativi e formativi” come sancisce il Profilo professionale e il Codice deontologico dell’A.N.P.E. e proprio perché esperto in un ambito  (non materia) così fondamentale all’Essere Umano e moderno, non può essere una competenza esclusivamente teorica.

      C’è bisogno di una “competenza interiore”, di empatia quasi innata oserei dire, in grado di saper mettere in relazione i fabbisogni educativi e formativi di preparazione  umana, da trasmettere, così come nel vero senso del “maieuta”.

La proposta formativa qui presentata “L’ascolto Psico-Pedagogico nell’ospedalizzazione” (un percorso di Esperienza vissuta, di riflessione e una proposta di Formazione), è basata proprio sulle argomentazioni precedenti. Il decorso del vissuto ospedaliero ha, a mio avviso, delle “necessità umane” , sia da parte del paziente che del medico, che sarebbero da sviluppare meglio, in particolare nei seguenti punti:

 

·        L’accoglienza

·        La Comunicazione paziente/medico

·        La Visita medica d’ingresso e quella giornaliera

·        Bisogni e necessità del personale infermieristico (la professione d’aiuto sanitaria)

·         Interazione tra il personale ausiliario

·        I rischi delle professionalità cliniche e istituzionalizzate

·        La figura del Primario e le richieste del Paziente

 

Questi sarebbero i primi punti da analizzare e sviluppare per favorire un “approccio sistemico alla relazione tra Paziente ed Operatore”, in senso strettamente pedagogico. Le tematiche affrontate quindi, sarebbero strumento naturale per una proposta formativa e di aggiornamento più ampia, a favore delle professionalità sanitarie, in competenza specifica, rispetto al lavoro quotidiano e fondamentale, alla base della “relazionalità del paziente”, ancora carente…Ma forse qualcosa si sta muovendo…

 

 Il decorso ospedaliero ha bisogno di una maggiore umanizzazione.

Il Pedagogista in ambito ospedaliero.

     Il periodo della degenza, così com’è attualmente strutturato, non aiuta ad una certa sistematicità funzionale nella quotidianità del percorso terapeutico. Ci sono infatti diversi aspetti “forzati” all’interno della vita in ospedale, a causa dalle esigenze strutturali e professionali, per cui il paziente si deve adeguare a loro, cercando di organizzarsi individualmente, se è possibile, ma non è sempre possibile. A tal fine c’è bisogno di una serie di strategie utili e opportune per il percorso terapeutico da affrontare, a favore del Paziente adulto, che anche in questo caso vorremmo sintetizzare nei punti fondamentali, per una successiva rielaborazione:

 

Ø La degenza:

·        I tempi

·        I mezzi

·        Gli strumenti

·        Le tecniche dell’interazione

      I quattro punti sopra evidenziati sono fondamentali al fine di un ,miglioramento psicofisico dell’Individuo ricoverato. L’assenza dal calore delle mura familiari, lascansione dei tempi e degli spazi interni, pur se necessari, creano un ulteriore trauma all’individualità di ognuno e solo la vicinanza dei propri cari e una certa preparazione e sensibilità professionale, può attutire tale scompenso emotivo.

     Proprio a questo proposito, l’insieme della nostra proposta, prevede una certa rimodulazione o comunque, riqualificazione all’interno dei servizi giornalieri ospedalieri, attuali, per ottimizzarne le prestazioni mediche, infermieristiche, ausiliarie e ambientali, a favore del Paziente e del Personale tutto.

      Ri-qualificazione e ottimizzazione dei servizi sanitari interni, in senso strettamente pedagogico, vuol dire che le attività giornaliere, prestazioni, spazi e tempi, dovrebbero essere gestite diversamente, ma senza alcuna rivoluzione.

In questo senso e a questo proposito, l’apporto del Pedagogista all’interno della struttura ospedaliera, favorirebbe un “incontro” diverso e più funzionale alle esigenze delle parti, utilizzando strumenti adeguati di inter-azione tra gli attori coinvolti (pazienti, medici, infermieri, ausiliari e familiari), per una organizzazione, umana, interna, più efficace.

      Un senso organizzativo-pratico nuovo, rispetto alle esigenze di tutti, ma soprattutto dal punto di vista emozionale che la figura “nuova” del Pedagogista in ambito ospedaliero, aiuterebbe a monitorare al meglio, dall’interno, le varie istanze emotive e di fruizione/organizzazione del servizio, a favore del Paziente e del Personale tutto. Spesso inoltre sono carenti anche le figure dei Volontari, (nel reaparto di Ematologia del Gemelli, c’è solo una disponibile e cara suora che cerca di dare un po’ di conforto ai pazienti e quando può li aiuta anche per alcune richieste pratiche…Ma c’è bisogno di un maggior sostegno.

 Conoscere se stessi e gli altri: il rapporto ospedaliero e la compartecipazione del percorso terapeutico.

   Le relazioni e i rapporti in ambito ospedaliero, tra le persone, subiscono inevitabilmente degli “influssi istintivo professionalizzanti”, come oserei chiamare…Ovvero, essendoci quasi mai momenti di specifica e strutturata conoscenza reciproca, tra paziente, medico e personale infermieristico, in particolare, l’unica “relazione” tra le parti è limitata alla “conoscenza funzionale” tra le parti, in occasione delle quotidiane visite mediche o degli interventi infermieristici, limitari a questo. Ed è normale…

     Secondo quanto afferma il Dr. Mammì, “curo gli altri per non pensare ai miei nodi irrisolti” e “occuparsi di chi si occupa di terapie a prescindere dal loro grado di legittimità”, è un’altra forte riflessione che noi Pedagogisti dovremmo favorire, affrontare e cogliere.

 La conoscenza globale e particolare dell’individualità Paziente, dovrebbe essere favorita all’interno del processo medico e qui il Pedagogista può fare davvero, meglio di altri. E’ a questo proposito che si dovrebbe aumentare e favorire il senso di “compartecipazione” del percorso terapeutico, a favore della diretta informazione del Paziente, diminuendo la “distanza” tra medico e paziente stesso, proprio per far si che il percorso e il decorso terapeutico, sia il più possibile condiviso dalle parti, aumentandone la consapevolezza e la responsabilità reciproche.

Tutto questo risulterebbe a favore anche del medico, che troppo spesso si trova di fronte alle enorme responsabilità, (tipiche certo della professione scelta), ma con conseguenze psicologiche, sicuramente non abbastanza affrontate e assorbite.         

     Questa verità, in una professione d’aiuto come quella del medico (ma anche dal punto di vista del paziente), risulta nei fatti, in una certa contraddizione. Nelle professionalità mediche, riconosciute a favore della cura della persona e alla salvezza della vita umana, non sia più “solo” sterile competenza dall’alto delle accademie universitarie, ma un processo di ottimizzazione continua per il Ben-Essere della Persona!

  

*Pedagogista, Mediatore Familiare Minorile, Penale - Istruttore URP presso Roma Capitale

** Articolo già pubblicato in “La pagina maieutica- n° 14 - n° 15 – n° 16 del 2015

martedì 23 agosto 2016

Pedagogia è Prevenzione



.LEGALIZZARE O PREVENIRE? 


Per anni sono stato favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere ma ora, ho decisamente cambiato idea. Lavorando da anni con gli Adolescenti, ultimamente mi è capitato di sentirmi dire: "mi faccio una canna giusto per stimolare un po' l'appetito"...!!! Siamo arrivati a questo? La trasgressione è "normale" nella fase dell'Adolescenza, ma, a parte la troppo precocità delle esperienze giovanili di questo tempo, che sta rovinando troppi giovani, portandoli a vivere esperienze "estreme" ed "eccessive", negative al loro sviluppo psico-fisico, ritengo che l'opinione dello psichiatra Meluzzi, sia da condividere pienamente! In particolare poi, quando si parla di "disincentivo pedagogico" a cui fa riferimento Meluzzi stesso, «E’ un cattivo messaggio al mondo dei giovani...(la legalizzazione) innesta un meccanismo perverso perché la trasgressione si sposterà in avanti, verso altre frontiere. Se la cannabis diventa legale, allora la trasgressione sarà farsi una pippata di cocaina. I confini del piacere si spostano insieme alla possibilità di trasgredire e quindi la tendenza andrà sempre oltre...». Come dicevo prima, la trasgressione è naturale nell'Adolescenza, ma dovremmo aiutare i giovani (e le famiglie stesse), a saper mantenere il tutto entro certi limiti! E non mi vengano a dire che se mi limiti la trasgressione, allora non c'è più gusto....Che gusto c'è rischiare di morire??? Perché invece che "stimolare il peggio" dell'Essere Umano, creando continue DIPENDENZE e MEDICALIZZAZIONI fin dalla giovane età, non lavoriamo per il vero BENESSERE dell'INDIVIDUO nella SOCIETÀ? Come? Con la PREVENZIONE, l'EDUCAZIONE al BENE INDIVIDUALE, SOCIALE, AFFETTIVO e dei SENTIMENTI, in maniera tale da non cercare sensazioni forti che fanno stravolgere la VITA...Perché l’UNICA VERA DROGA di cui abbiamo veramente bisogno è l'AMORE e il RISPETTO per SE STESSI e per gli ALTRI!

mercoledì 27 luglio 2016

Cosa fa il Pedagogista?


IL LEONE VA ALLA GUERRA
Un giorno un viandante chiese a un pedagogista. “Ma cosa fanno i Pedagogisti?” E il pedagogista gli raccontò una storia: “Il leone, re della foresta, decise un bel giorno di fare una guerra e, come fanno tutti i re, diramò un bando fra tutti gli animali suoi sudditi. -Gli animali- diceva il bando -vengano da ogni parte della foresta per aiutare il loro re a fare la guerra. Vengano tutti, senza nessuna esclusione,per prendervi parte. Vennero tutti, dai più grandi ai più piccoli. Tutti erano stati invitati perché il leone aveva detto che tutti avrebbero avuto un compito in guerra E quando tutti gli animali furono riuniti davanti al re e ai suoi ministri, il leone cominciò ad assegnare ad ognuno il proprio compito. Disse all’elefante: -Tu hai molta forza. Combatterai, ma porterai anche l’artiglieria e tutto quello che occorre ai tuoi compagni. Poi disse alla volpe: -Tu che sei il più furbo degli animali, mi aiuterai ad ingannare il nemico. -E tu- disse all’orso -che sei forte e agile, sarai utile quando dovremo assalire le fortezze. Scavalcherai le mura e conquisterai in breve tempo le città. Ad uno a uno il leone chiamò tutti gli animali e trovò per ognuno un compito preciso per la guerra che stava per cominciare. Quando comparvero davanti al re gli asini e le lepri, i ministri e i consiglieri gli dissero: -Questi sono animali inutili alla nostra guerra. Gli asini sono sciocchi e le lepri paurose e timide, che cosa ne facciamo? Mandiamoli via. Ma il leone rispose ai suoi consiglieri e ministri: -L’asino ha una voce più forte della mia. Sarà un’ottima tromba per chiamare a raccolta i soldati. La lepre è velocissima e porterà i messaggi da un luogo all’altro. Il leone che era saggio sapeva che nessuno era inutile e disse: -Dovete imparare che tutti sono utili se usati al momento opportuno e sfruttando le loro capacità.(Il leone va alla guerra da Esopo) P: “Ecco – infine concluse – il pedagogista è un cercatore di RISORSE, POSSIBILITA’, SALUTE!”"
(Fonte: Studio Eide)


Studio di Consulenza Pedagogica SocioFamiliare e per la Mediazione : Chi è il Pedagogista?

Studio di Consulenza Pedagogica SocioFamiliare e per la Mediazione : Chi è il Pedagogista?: Lo studioso e lo specialista di processi educativi e formativi (ricerca e applicazione) è definito pedagogista . Il pedagogista è un pr...